Inflammaging
Il termine “Inflammaging” (infiammazione associata all’invecchiamento) definisce lo stato infiammatorio cronico, acuto o subclinico sistemico comune a molte malattie età-correlate.
Al processo di invecchiamento dell’organismo, contribuiscono i biomarker dell’aging, cioè quei marcatori che incidono in modo diretto e/o indiretto attraverso complessi meccanismi biochimici e biofisici. I biomarker possono agire e contribuire a logorare l’organismo, alterando l’essenza, data dall’integrità del DNA della cellula, il quale può danneggiarsi o divenire incapace di ripararsi. Altri target di questi processi sono anche le proteine, i lipidi e i carboidrati.
E’ quindi fondamentale comprendere sia i meccanismi alla base dell’aging e sia ciò che influenza l’età biologica, in modo tale da individuare i bersagli terapeutici e contrastare il processo di invecchiamento. Concausa dell’invecchiamento umano è una condizione latente di infiammazione cronica.
L’inflammaging costituisce un fattore di rischio significativo sia per la morbilità che per la mortalità. L’eziologia dell’inflammaging e il suo potenziale ruolo causale nel contribuire a esiti negativi per la salute rimangono indeterminati. E’ quindi necessario identificare quei percorsi che possano controllare l’infiammazione legata all’età e capire se i trattamenti che modulano l’inflammaging possano risultare utili nelle persone anziane e nel contesto della medicina preventiva.
E’ noto da tempo che la vecchiaia sia caratterizzata da uno stato pro-infiammatorio; lo dimostrano anche i valori di un test di laboratorio, la VES, spia di un processo infiammatorio in atto, che aumenta con l’età.
Molte malattie età correlate condividono una patogenesi infiammatoria. Dati sperimentali e clinici suggeriscono che il sistema immunitario innato sia coinvolto in queste malattie croniche. Le risposte infiammatorie sembrano essere il meccanismo prevalente di attivazione del danno tissutale, associato alle differenti malattie età-correlate.
Uno stimolo infiammatorio provoca una risposta infiammatoria composta da eventi sia locali che da un’attivazione sistemica e comprende una complessa rete di interazioni molecolari e cellulari che determinano un ritorno all’omeostasi fisiologica e alla riparazione tessutale.
L’ infiammazione ha un duplice ruolo, perché se da un lato è necessaria per far fronte agli agenti dannosi ed è necessaria per la sopravvivenza; dall’altro, l’esposizione cronica ad antigeni, induce uno stato infiammatorio cronico di basso grado che contribuisce alla morbilità e mortalità associate all’età.
Quindi la chiave per invecchiare con successo è collegata alla necessità di diminuire l’infiammazione cronica senza compromettere una risposta acuta in caso di esposizione dell’organismo verso gli agenti patogeni.
L’infiammazione cronica è considerata la madre di tutte le lesioni in quanto ha correlazioni non solo in ambito oncologico ma anche cardiovascolare e neurodegenerativo.
L’infiammazione provoca la perdita dei meccanismi protettivi propri della cellula e ne conseguono alterazioni nei meccanismi del ciclo di replicazione cellulare, incrementi nella biosintesi di citochine, amiloide sierica, eicosanoidi pro-infiammatori con accelerazione del processo di invecchiamento e con alterazioni del meccanismo apoptosi/oncogenesi e deragliamento verso condizioni di proliferazione patologica non controllata.
Nel suo insieme il processo di infiammazione cronica può essere inquadrato come una condizione di irritazione profonda, subdola e silente dei tessuti che potrebbe essere silente anche per decenni ma che nel tempo può risultare molto più distruttiva per i tessuti e gli organi vitali rispetto alla semplice infiammazione acuta.
L’obesità rappresenta un fattore di rischio grave per numerose patologie, quali diabete mellito, ipertensione, disordini respiratori, patologie ischemiche, ictus e cancro. Il tessuto adiposo viscerale diviene sede di un processo flogistico cronico con ripercussioni locali e sistemiche. Nell’adipe dell’obeso, il flusso ematico diviene inadeguato in rapporto all’aumentato volume tessutale e ciò causa ipossia cellulare.
Sono diversi gli studi che hanno valutato la correlazione che vi è tra l’obesità e l’infiammazione ed emerge che le specie reattive dell’ossigeno causano l’espressione di citochine infiammatorie e molecole di adesione. Quando le citochine infiammatorie sono elevate nella circolazione, l’accumulo di energia provoca un’infiammazione cronica sistemica, che si osserva nell’obesità quindi il tessuto adiposo è una delle principali fonti di infiammazione cronica.
Questo tipo di infiammazione cronica può essere limitata o prevenuta con la restrizione calorica. Infatti la restrizione calorica (CR), ritarda l’invecchiamento e previene le malattie correlate all’invecchiamento attraverso molteplici meccanismi.
Il basso stato di infiammazione può contribuire alla ridotta incidenza di osteoporosi, morbo di Alzheimer, malattie cardiovascolari e cancro nei soggetti anziani.
Un modo indiretto per valutare la condizione di benessere e di equilibrio della bilancia infiammatoria in un soggetto è dato dalla misurazione del rapporto tra omega-6 ed omega-3, che generalmente si traduce nel rapporto tra l’acido arachidonico (AA), appartenente alla categoria degli omega-6, e gli acidi eicosapentaneoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA). In pratica AA/EPA e AA/DHA.
Questo test è oggi definito “test degli eicosanoidi” od “omega screening”.
I parametri di riferimento in medicina anti-aging sono rispettivamente di 3:1 (l’OMS suggerisce almeno il raggiungimento di un rapporto di 4:1) e di 1:1 (l’OMS suggerisce almeno il raggiungimento di un rapporto 2:1).
L’obiettivo clinico sarà il raggiungimento a questi valori ottimali, attraverso modifiche dello stile alimentare, l’attività motoria e, se necessario, una adeguata e mirata integrazione orale. Utile anche un più generico screening di tutti gli acidi grassi plasmatici.
Vari studi scientifici hanno inoltre dimostrato come una dieta ben bilanciata nell’apporto degli omega-3 e una supplementazione di questi ultimi (EPA/DHA) siano in grado di contrastare la senescenza cardiovascolare e cerebrale grazie alla loro capacità di determinare la biosintesi di agenti antiossidanti come la glutatione perossidasi.
Un altro marcatore ematochimico dell’infiammazione è dato dalla PCR (proteina C reattiva). Valori superiori a 2,1 mg/l nell’uomo e a 7,3 mg/l nelle donne sono ad esempio associati ad un significativo incremento del rischio di malattia cardiovascolare (CAD). Un dosaggio quindi della PCR è un altro parametro di monitoraggio dell’inflammaging.
Altro parametro utile da monitorare è dato dal FIBRINOGENO. Anche questo infatti è coinvolto nella risposta infiammatoria sistemica e a sua volta, così come la PCR reattiva, è considerato, se elevato, un fattore di monitoraggio biologico del rischio di malattia cardiovascolare e della più o meno latente condizione infiammatoria di base del soggetto in esame.
I livelli normali di fibrinogeno si attestano normalmente tra 150 e 400 mg/dl, con un valore medio che oscilla intorno ai 225 mg/dl. Il dato ottimale è dato da livelli comunque inferiori a 300 mg/dl.
Dott.ssa Stefania Montemagno
- Laura Obici, Simona Donadei, Riccardo Albertini, Remigio Moratti, Giampaolo Merlini. Siero amiloide A e flogosi. Laboratorio di Biotecnologie e Tecnologie Biomediche e Laboratorio di Analisi Chimico Cliniche, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e Dipartimento di Biochimica, Università degli Studi, Pavia. Biochimica clinica, 2010, vol. 34, n. 5
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- Galimberti: La medicina dell’aging e dell’anti-aging. Edra
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